“Giorgio Della Monica attinge a una vasta gamma di esperienze pittoriche e culturali, trasportando l’osservatore in una dimensione parallela, fatta di colte rielaborazioni del reale, del sogno e del mito.

Così in Caos troviamo una figurazione di taglio surrealista intessuta in una trama allusiva; in Proserpina l’artista inquadra la dea agreste con un modellato che si ispira ai canoni della scultura classica. Egli spazia dall’uso della foglia d’oro agli acrilici, esprimendo una creatività poliedrica. La sua tavolozza è costituita da un felice connubio tra tonalità intense e cromatismi delicati che danno vita a un disegno in cui il tratto scandisce con un andamento ritmico la composizione.

Della Monica invita l’osservatore a lasciarsi coinvolgere dal fascino arcano dell’immaginario mitologico, riconoscibile qui come dimensione parallela, che appartiene ineludibilmente alla nostra memoria collettiva.

Paolo Levi


“Giorgio, allievo prediletto assai dotato, in qualche modo continuatore, con una propria fisionomia, della mia visione pittorica …  è una spugna che assorbe e rielabora qualsiasi elemento tecnico che possa essergli utile nell’estrinsecazione del suo mondo emozionale: non una supina assunzione dei dati, ma una loro riutilizzazione filtrata dalla propria personalità. Ne è prova il suo continuo interrogarsi sui linguaggi estetici che gli possano permettere di esternare la gamma dei propri sentimenti.
Egli attraversa una fase di studio delle tecniche e di impaginazione del dipinto. Un divenire che potrebbe, ad una prima superficiale valutazione, ingenerare un sospetto di scarsa coerenza. Da un’osservazione più attenta si intuisce invece immediatamente l’universo di Giorgio: un coacervo di sentimenti, sensazioni, stimoli culturali, aneliti e eremitiche sono la fotografia del suo carattere esplosivo, di guascone buono, di persona sempre disponibile al contatto e all’apertura, pronta a mettersi in discussione e ad allargare il proprio orizzonte di conoscenza.

Naturalmente egli è ben conscio che, nei tempi congeniali alla sua ricerca, il lavoro approderà a una continuità rappresentativa che sintetizzerà, in maniera univoca, la variegata gamma dei suoi interessi. Questa fase della pittura è comunque sempre sostenuta da un’indubitabile qualità tecnica: qualità che rappresenta la più certa garanzia del suo futuro sviluppo . 
Che si cimenti in una “natura morta”, o in un “notturno”, o nel volto seducente di una donna o nella resa illuministica di un paesaggio, la cifra della padronanza tecnica è sempre elevata, felice, profusa con metodica, quasi maniacale attenzione. La “fame” di ulteriori apprendimenti e l’innata curiosità rappresentano leve sicure per un continuo, futuro miglioramento della sua produzione pittorica”.  

Virginio Quarta


“La pittura di Giorgio Della Monica trova spunto dalla ricerca storica ed artistica delle grandi testimonianze del passato.

Un saper far ben convivere, nelle proprie interpretazioni pittoriche, presente e passato attraverso una sapienza compositiva che conduce l’osservazione in una dimensione contenutistica fascinosa e accattivante .

La tavolozza sempre ben dosata, nella quale convivono armoniosamente cromie intense e tonalità soavi e delicate, lascia intendere una capacità di realizzazione notevole, degna manifestazione di un’intensa attività d’evoluzione stilistica.

Evoluzione stilistica che trova sua importante collocazione in un contesto armonico nel quale in amabile simbiosi realismo e surrealismo si fondono briosamente donando al fruitore in taluna manifestazione pittorica del Della Monica importanti richiami introspettivi, valide attese valutative dei ricordi, dei sogni .

Uno scrutare la profondità dell’essere, quindi, riproponendo scatti mnemonici che nell’atto pittorico sovrapponendosi gli uni agli altri assumono essenza descrittiva della preziosità esistenziale”.

Sandro Serradilalco


“Non ha un nome, il pescatore di Giorgio Della Monica ma, come Santiago di Ernest Hemingway, ha la pelle bruciata dagli anni trascorsi in solitudine con il sole e il mare. I suoi occhi saraceni scrutano lontano, al di là dell’estrema punta del porto e oltre la notte, fiutando gli umori del vento e del mare, quasi si apprestasse ancora a condurre la sua lampara sulla consueta rotta della pesca notturna. Alta, si erge la torre su un gruppo di case, che si allungano verso il raccolto della valle.

Quel volto antico è un’esistenza vissuta, un territorio, è Cetara, il paese dove ha raccolto le fatiche, le ansie, le speranze di un’intera vita da trascorrere serena in vecchiaia.

Scorre lo sguardo sulle tele dello studio…più in là, ancora sul cavalletto, è un pescatore al rammaglio delle reti, lunghe, robuste, capaci di imbrigliare tra le maglie i tonni, quelli pregiati di cui si è sempre vantata la marineria di questo paese costiero.

Si spinge la mente nell’0innaginario viaggio sino all’ultima spiaggia dell’ansa del golfo…ed è Positano: accanto ad una barca la donna si mostra soddisfatta di un piatto di pesce appena pescato; nel chiarore notturno la chiesa con la Madonna Nera sovrasta un balconcino, affaccio della casa dove John Steinbeck appuntò le emozioni dell’anima su un paese che c’è come una volta/da chiamare per nome e da tacere, come cadenzava in versi Alfonso Gatto. E ritorna alla mente quella piccola tempera tracciata su carta da Mino Maccari a raccontare di un lontano idillio, di un confidenziale rapporto con questi luoghi e con le sue genti.

Ecco il racconto, quello di Giorgio Della Monica, che si snoda attraverso un viaggio pittorico di poche tele nei territori della memoria giovanile, dove ritrovare luoghi e volti, un vissuto e i suoi interni. Ed è per l’artista quasi un richiamo materno se, come scriveva Vali Mayer, la fuggitiva di Tennessee Williams e l’ultima esistenzialista di Positano, la Costiera ha l’intensità femminile, esprime la grande madre.

Su questi luoghi costieri, modulati a frange di merletto precipiti verso il mare etrusco, Tersicore si denuda per danzare con Venere e Gea sotto gli occhi lucidi di desiderio del vecchio Nettuno. Vive il mito, intagliato in pietre bianche, posto a muto spettatore su terrazze all’infinito di Ravello a rimirare il sottostante mare di Ulisse e delle Sirene. La porta in legno, provata dalle intemperie, schiude su giardini già cari a Boccaccio, Wagner e Francis Nevile Reid, luoghi fatati eretti su una striscia di terra affacciata sul mare dove Landolfo Rufolo aveva costruito la sua splendida villa: qui permane la leggenda del re Pescatore.

Con animo da artista Giorgio Della Monica percorre il suo viaggio tra mura ravvicinate, visioni di infinito e pareti domestiche a ritrovare un vecchio macinino con la cara caffettiera napoletana, una lucerna in ceramica vietrese, trasparenze di bottiglie, un asinello ridanciano, una conchiglia, lo specchio della fertilità a corona di Cerere, testa viva oltre il corpo ormai svanito.

Campeggia il taglio sulla tela muta, si raccolgono i pensieri, si fruga nella memoria, si riacquista il senso dell’essere. Sullo sfondo è il notturno costiero ove mille luci richiamano case addossare a pendici montuose e la luna si stende sul mare, facendolo reagire come una donna.

Si celano, nelle tele dell’artista, antiche magie, folletti e spiritelli, le ragazze fiore del magico giardino di Klingsor con immutati, teneri sospiri d’amore.

E’ un territorio magico – scriveva Roger Peyrefitte- che veste l’anima di nostalgia per un clima ove il profumo dei limoni riempie la mente, ove la storia sembra cadenzare il tempo.

Così non è meraviglia, se al termine di una rada scavata dall’indice di Dio nel giorno della creazione, s’erge Atrani, ri-emersa dai ricordi dell’artista e proposta come la panchina solitaria di Aurel Spachtholz: ti siedi per pochi minuti. Riposi e sei trasportato fuori da te, in un sogno…

Un viaggio, quello di Giorgio Della Monica, nello spazio senza tempo della Costiera Amalfitana dove, una volta, tutto scorreva nella contemplazione e nel silenzio. Persino le poche parole dei pescatori al tramonto scivolavano veloci tra un silenzio e l’altro. Anche l’orologio del campanile era libero di segnare l’ora che più gli si confaceva.

Quei tempi l’artista ha ri-trovato nel suo intimo nascosto e un po’ dimenticato, li ha tracciati su tela rivestendoli di concilianti cromie e li ha offerti alla meditazione di quanti sanno ancora farsi rapire dal conato delle sirene, dal profumo dei limoni, dal salmastro delle alici.

Tra queste case e maceri, così montuosamente marini, il pensiero muto prende il suono della parola incantata.”

Vito Pinto (in occasione della mostra intitolata Il Viaggio, tenuta a Ravello dal 25 settembre al 16 ottobre 2012)


“Pluripremiato pittore di grande prestigio, Giorgio della Monica trova spunto, nella sua evoluzione artistica, da una continua ricerca di una preziosa armonia cromatica, fatta di alternanze e sfumature stilistiche sempre più vicine alla sua interiorità. Oggi conosciuto e rinomato sia in Italia che all’estero, attualmente espositore presso la Mostra d’arte Internazionale di Pechino, ci rende partecipi di un suo momento di grande crescita artistica, dove il suo forte desiderio di far conoscere se stesso attraverso le sue opere lo rende sempre attuale e presente in una dimensione in cui arte e vita si combinano, intrecciandosi in sfumature paesaggistiche, in volti di donne talvolta seducenti, talvolta evanescenti, rievocando sensazioni di forte impatto cromatico e grafico. Un viaggio armonioso ma di forte impatto emotivo dunque, all’interno delle arti visive, fatto di studi approfonditi e di un’accurata ricerca documentale e storica per immergersi in mondi sempre nuovi ed interessanti, alla sempre più stimolante scoperta di nuovi spunti per descriversi e descrivere le proprie sensazioni creative.

Cosa rappresenta l’arte per Giorgio Della Monica?

Per me l’arte è uno stimolo ad esprimersi e a comunicare il nostro mondo interiore, le niostre emozioni, in maniera del tutto personale, originale ed immediata.

Come si è avvicinato alla pittura?

La voglia di comunicare al fruitore un messaggio e cercare di provocare in esso un’emozione mi ha certo permesso di avvicinarmi all’arte. Evidenziando ovviamente in tutto questo il mio mondo e le mie personali percezioni artistiche. Una inspiegabile voglia di aprirmi al mondo , descrivendolo a sua volta, è stato il mio unico vero motore di ricerca interiore ed artistica.

I colori dell’anima come si manifestano secondo lei mediante la pittura?

Il rapporto tra l’utilizzo dei colori e i moti dell’animo è una delle cose più difficili per un artista. Cercare con il colore il modo di dare un’immagine o una sensazione, cercando il giusto equilibrio dove immagini e sentimenti si fondono, e dove l’arte pittorica diventa esternatrice di irripetibili sensazioni, sono i veri stimoli di un artista; essi spingono a perfezionare la tecnica e ad appropriarsi di un veicolo di comunicazione unicamente personale.

L’arte è esaltazione del bello o rielaborazione di input emotivi per lei?

Una giusta fusione tra le due cose stanno nell’equilibrio di un vero artista.

Maddalena Parmentola (articolo pubblicato sulla rivista Albatros)


“Il surrealismo in genere è un modo di pensare oltre al senso comune, per portarci in un mondo misterioso che altro non è che la nostra stessa vita, un mondo per affermare la propria indipendenza artistica, una via per accrescere il proprio spirito e per dare una forma nuova alle cose. Per un artista vero le cose che ci circondano non sono così come le vediamo con i nostri occhi, la fantasia le trasforma. Le rende più poetiche e illuminanti. Giorgio Della Monica, con le sue opere, ci trasporta in un mondo dove tutto può essere, un mondo fatto di sogno e poesia, dove per esprimere un’emozione o un’atmosfera non è sufficiente descriverla realisticamente ma è necessario andare oltre la realtà, nel meraviglioso surreale. Tutto  questo è riconoscibile nelle opere di Giorgio Della Monica, come Un’immagine (l’abbraccio di un angelo) oppure Indicazione spazio temporale (un volto di fanciulla deturpato, gocce di pioggia sorrette da fili e il sole che si affaccia all’orizzonte, che forse vuol rappresentare la rinascita). Lo specchio della fertilità avrebbe riempito di gioia Renè Magritte, che di quelle nature morte riempiva i suoi album da disegno; Proserpina è inseguita dai serpenti dei suoi sogni infernali e La Venere di Milo è un richiamo alle antiche culture. Della Monica dimostra di saper dipingere e di interpretare il mondo con quella libertà che solo un artista puro può rappresentare.

Eraldo Di Vita (articolo pubblicato sulla rivista EuroArte luglio-settembre 2011)


Nella personale galleria di figure che popolano le tele di Giorgio Della Monica vivono impulsi derivanti da una realtà interiorizzata e da un prolifico immaginario.

L’artista cattura volti ed immagini con la leggerezza e la velocità di una fresca brezza marina, percorre terre arse di sole, o riproduce meste creature lunari.

Ma non viola i limiti dei volti, li scruta, li lambisce in un tenero abbraccio senza mai perdere il fluire ritmico del suo percorso. 

Le inquietudini consce ed inconsce sono vagamente percepibili sulla superficie vibrante di questi dipinti.

Una passione per le forme ed i colori attraversa queste opere in cui le immagini si espandono dominando il campo della tela con una messa a fuoco di solito eccedente.

Non è certamente un piatto descrittivismo fotografico al contrario la figura si colloca al di là del quadro mettendo in moto dinamicamente l’immaginazione e la mente del fruitore.

Un esplicito privilegiamento del filone figurativo espresso a volte dettagliatamente altre volte con minore identificabilità e più allusività come nel caso del quasi monocromatico acrilico su tela del titolo “Fratture”.

Nello spazio visibile si accalcano proliferanti l’una sull’altra in una serie di varianti infinite una folla di volti-maschere. Tali fisionomie ondeggiano in una atmosfera vagamente crepuscolare evocante arcani simbolismi.

Ed ancora in altre opere ritorna ancora più energico e determinato il deformarsi dei volti ed il loro moltiplicarsi indefinito ed indefinibile che fa pensare a lontane reminiscenze metafisiche, espressioniste ma rivissute con animo positivista.

“I colori sono quasi parole che, percepite cogli occhi, penetrano nell’animo non meno delle voci percepite dalle orecchie” così affermava Federico Borromeo nel 1625.

Nella scelta cromatica l’artista tendenzialmente sospinge il colore al massimo (come nel primo piano della ragazza con la ciliegia pendente dalle labbra) raggiungendo in tal modo una accattivante suggestione.

Ma riesce ad essere intenso anche senza grandi contrasti di cromie riuscendo a farci percorrere agevolmente interi luoghi desertici senza farci incontrare né un volo, né una presenza.

La terra arida, ondulata di Della Monica produce la stessa fascinazione di quella descritta da Sepulveda nei suoi romanzi ed in particolare nelle pagine de “Le rose di Acatama”.

I segni, prima ancora che per la forma  o per la decodifica dell’immagine disegnata, coinvolgono il fruitore per i loro contrasti puri, per la forza luminosa e decisa proveniente da un’ampia gamma tonale.

Una indubbia e notevole abilità nella costruzione delle immagini e della loro proporzionalità e simmetria contraddistingue l’artista che dopo i primi tentativi da autodidatta è poi approdato alla scuola di Virginio Quarta. Attualmente pur mantenendo i parametri essenziali si è distaccato dal maestro orientandosi verso sue peculiarità, riappropriandosi di sue specificità originali e contemporaneizzando gli eterogenei spunti rivolti ai movimenti ed ai filoni della storia pittorica recente e passata.

La sua è una ben lunga e diversificata storia di esposizioni, di partecipazione a numerosissimi eventi culturali ed ancora di riconoscimenti paralleli all’alacrità della sua ricerca, alla perseveranza e costanza del viaggio intrapreso all’interno dell’attualità delle arti visive che costituiscono comunque il centro intorno a cui ruota il suo linguaggio artistico e la sua attività creativa.

Nella composizione delle sue opere Della Monica fa confluire costantemente un notevole slancio pittorico dalle tinte forti e dalle forme più eterogenee (definite ed indefinite), quasi una sorta di “elan vital” della pittura che, entrando in connubio con la sua volontà di riattraversamento del filone figurativo, lo vedono protagonista di approdi peculiari che a nostro avviso hanno la forza per mettersi in moto verso linguaggi sempre più innovativi.

Gabriella Taddeo